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giovedì 30 settembre 2010

Auto-Condizionamenti


Era lì, seduto alla sua scrivania, davanti ai tanti PC accesi, alle tante novità che l'informatica ed il suo lavoro gli permettevano di testare. Eri lì, seduto davanti a tanta tecnologia, ma il suo sguardo si perdeva nel monitor della sua “piccola mela”, una finestra sul mondo che gli mostrava un paesaggio marino. Il paesaggio marino che dall'infanzia lo aveva accompagnato fino a diventare un uomo.
I pensieri. I troppi pensieri. La sua testa sempre “in movimento”, sempre pronta a cercare di capire... prevedere... controllare... schematizzare... cosa poi non si sa.
Si usa dire di “non fasciarsi la testa prima di rompersela”... ebbene... lui oggi si era montato un intero turbante intorno al capo. Il motivo poi... bah! Le solite seghe mentali.
Vivi il presente. Questo ripetevano i tanti messaggi che negli ultimi mesi lo avevano raggiunto... ma è difficile vivere un buon presente, soprattutto se è un bel presente, senza capire se potrà avere un futuro. Senza cercare di trovare un modo per andare incontro al destino. Senza riuscire ad intravedere la luce infondo al tunnel. Cercando di cogliere i segni che l'Universo poteva avergli mandato.
La mattina fredda, autunnale, della metropoli, iniziava ad essere riscaldata da un pallido raggio di sole che lo colpiva proprio sulla schiena. Un tepore che, insieme ai suoni ovattati che raggiungevano lo studio, lo aveva quasi ipnotizzato davanti allo schermo del suo computer, come fosse in trance.
E da quel trance erano emerse delle domande... Era possibile che una frase detta o non detta riuscisse a condizionare così tanto la sua intera giornata? Era giusto che un messaggio, una mail o una telefonata mancata potessero invadere in maniera così forte la sua vita?
A volte le parole feriscono più di una spada, anche quando non dette. A volte la testa lavora più di quello che dovrebbe, e le parole se le inventa, le ipotizza, e poi se le ripete fino a farle diventare come qualcosa di realmente detto.
Il desiderio di controllo delle situazioni, delle emozioni, fa si che si vada oltre a quello che le emozioni stesse ci danno. E questo non funziona sempre o, per meglio dire, non funziona quasi mai. Le emozioni sono emozioni, non possono essere ingabbiate, analizzate, razionalizzate eccessivamente.
Il tempo passava. Il chiarore del raggio di sole aveva lasciato spazio al grigio del cielo cittadino, facendo piombare la studio in un freddo pomeriggio autunnale.
I pensieri iniziavano ad allentare la presa, lasciando una sensazione di fastidio nella pancia, il famigerato cervello enterico stava iniziando il suo “percorso” emozionale... la sua somatizzazione.
Cosa era successo in questo lungo lasso di tempo? Cosa era cambiato? Come era cambiato? Il passato appena passato era riuscito, oltre a dare sofferenza e dolore, ad attivare lo stimolo per una migliore comprensione di sé? Dove era finito il tanto atteso sprint iniziale utile alla crescita personale e di conseguenza ad un più maturo rapporto con il mondo intorno?
Sapeva che quello che ci voleva era uno spunto... un progetto... qualcosa di suo e solo suo... qualcosa che gli avrebbe ridato uno spazio ed una missione in questo strano e pazzo mondo.
Era ancora presto per decidere... per avere una risposta certa... l'unica cosa da fare, per il momento, era vivere e vedere come sarebbero cambiate le situazioni da lì in avanti. Il destino gli avrebbe di sicuro mostrato dei segni per fargli capire da che parte andare...


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